È sempre più frequente sentire recitare questa frase “chi inquina, paga”, che è diventato oramai un vero e proprio motto.
Nei giorni scorsi, la presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, lo ha espressamente citato, nel presentare nell’ambito del Grean Deal un pacchetto di misure finalizzate a ridurre del 55% le emissioni nette di CO2 entro il 2030 e raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050.
L’ho ha ripetuto, poi, il Commissario europeo per l’economia Paolo Gentiloni a proposito della nuova direttiva sulla tassazione dell’energia.
Un paio di settimane fa, il Commissario UE all’agricoltura si è pronunciato a favore dell’estensione dell’applicazione del principio dalle politiche ambientali a quelle agricole, appoggiando le conclusioni della relazione della Corte dei Conti UE in tema.
Derivazione del principio e impianto della normativa comunitaria
Il principio costituisce non solo la fonte di ispirazione del precitato piano di riforme al vaglio dell’UE, ma è il fondamento del diritto comunitario dell’ambiente (art. 191 TFUE) e ne determina le azioni concrete.
Dal punto di vista tecnico-giuridico il predetto principio si declina in tali termini: l’operatore che provoca un danno ambientale o è all’origine di una minaccia imminente di tale danno, deve essere considerato finanziariamente responsabile ed è, pertanto, tenuto a sostenere i costi dell’attività di prevenzione e ripristino, anche in caso di iniziative statali.
A questo si affiancano il principio di prevenzione e il principio di precauzione, in base ai quali il soggetto che ha il controllo sulle fonti inquinanti è chiamato a predisporre una tutela anticipata dell’ambiente, realizzando gli interventi idonei a evitare l’evento dannoso o la semplice minaccia.
Applicazione concrete
Proprio da tali principi trova ispirazione la disciplina contenuta nel Codice dell’Ambiente che prevede sia una parte dedicata alla bonifica ed al ripristino dei siti contaminati (titolo IV e V, art.239- 253), sia una dedicata alla tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente (parte VI, Tit.I art. 298 bis -318).
La disciplina normativa e la giurisprudenza conseguente hanno consentito di dare corpo al principio “chi inquina paga”, precisando quali connotati debba avere il soggetto responsabile dell’inquinamento e che cosa debba intendersi per “pagare”.
In particolare per quanto attiene alla tutela risarcitoria, la giurisprudenza italiana è giunta ad una nozione ampia di “operatore economico” tenuto al risarcimento del danno, tanto da affermare anche la responsabilità della società capogruppo e comunque anche di quelle che esercitano un’influenza decisionale in forza di vincoli contrattuali.
In merito secondo aspetto, nell’ultima versione del Codice dell’ambente, in seguito alla modifiche del 2011 e 2013 sollecitate dalla Commissione europea, si sancisce che il danno ambientale debba essere risarcito solo mediante misure riparative (risarcimento in forma specifica), con esclusione quindi del risarcimento del danno per equivalente pecuniario. In altri termini, significa che non si può chiedere al posto delle misure di riparazione l’equivalente monetario delle stesse. Solo quando le misure di riparazione non vengano adottate o siano realizzate in modo difforme dai termini e modalità prescritti, il Ministro dell’ambiente determina i costi delle attività necessarie a conseguirne l’adozione e agisce nei confronti del soggetto per ottenere il pagamento delle somme corrispondenti.
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